Rendere la formazione un’Esperienza per la persona è una modalità utile per favorire il coinvolgimento emotivo e il trasferimento dell'apprendimento on the job
Nella formazione professionale si possono utilizzare metodi accademici, che ricorrono a modalità di apprendimento passivo, e metodi attivi, che vedono la persona come soggetto di apprendimento. In quest’ultimo caso, si ricorre a tecniche quali l’esercitazione, la simulazione, l’esperienza.
Quando ho iniziato la mia carriera di formatore, 16 anni fa, ho subito optato per un apprendimento accademico, l’unico conosciuto in seguito ad anni di scuola e università. Le mie prime lezioni si basavano ad esempio sui concetti della comunicazione di base (modello lineare, circolare, assiomi, verbale e non-verbale, …) e tante, tante diapositive. Al termine delle lezioni avevo riempito tutti gli ‘spazi vuoti’ (il terrore dei formatori alle prime armi ..), ma dubitavo che gli allievi ricordassero qualcosa il giorno dopo.
“Se me lo dici dimentico Se mi fai vedere ricordo Se mi coinvolgi capisco" - Confucio
Tuttavia fin dall'inizio ho avuto interesse per i ‘giochi d’aula’, sia perché provenivo da anni di esperienza professionale come animatore socio-educativo, sia perché chi ha avuto fiducia in me proponendomi per la prima volta come docente, mi aveva suggerito lezioni più ‘attive’.
Non credo che avessi una piena consapevolezza dell’utilità formativa dei giochi, ma ho iniziato ad usarli sempre di più, perché il loro impiego aveva sicuramente un effetto sul coinvolgimento emotivo; l’obbligatorietà di alcuni corsi, come quelli della formazione esterna per l’apprendistato, richiede una grande attenzione verso l’attivazione della motivazione negli allievi.
Le mie lezioni sono quindi diventate un mix di parti accademiche e giochi d'aula; gli allievi uscivano soddisfatti al termine delle lezioni, ricevevo feedback positivi. Avevo intuito l’importanza dei giochi d’aula e dell’apprendimento attivo, ma non ho mai avuto la certezza che la soddisfazione dei partecipanti provenisse dall'utilità della formazione, quanto piuttosto dal divertimento, o quantomeno dal fatto che il tempo passasse senza noia, sensazione non inusuale tra gli allievi dei corsi obbligatori per legge.
In seguito, l’interesse per una maggiore preparazione nel ruolo di formatore -che fino ad allora svolgevo da autodidatta- mi ha portato a comprendere meglio la gestione dei metodi formativi in termini di efficacia.
Ho capito che i giochi d'aula possono avere un effetto decisivo sull'apprendimento e trasferimento on the job, a patto che siano gestiti in modo adeguato.
Ricorrevo ai giochi d’aula, ma solo dopo aver presentato la teoria. Per esempio, illustravo gli assiomi della comunicazione con un certo numero di diapositive e via via inserivo un gioco sui singoli assiomi per dimostrare la veridicità di quanto precedentemente espresso. Insomma, i ‘giochi’ erano esercitazioni al servizio dell’apprendimento accademico, così come a scuola ci si allena con degli esercizi dopo che ci hanno spiegato la regola.
Ma l’apprendimento attivo segue il senso inverso: prima si fa esperienza e solo in seguito si attiva il ciclo dell’apprendimento.
“Un’oncia di esperienza è meglio che una tonnellata di teoria semplicemente perché è soltanto nell'esperienza che una teoria può avere significato vitale e verificabile" - John Dewey
Il processo di apprendimento secondo Kolb passa attraverso 4 fasi di cui la prima è il coinvolgimento in una nuova esperienza. La riflessione sull'esperienza vissuta porta la persona a proporre nuovi concetti teorici che possono poi essere sperimentati in nuovi contesti. La conclusione del ciclo porta all'acquisizione di nuove capacità e competenze.
Oggi raramente mi porto in aula il pc e le diapositive; il video proiettore ha lasciato il posto ad altri strumenti: mattoncini lego, walkie-talkie, tubi passacavi in pvc… e tutto ciò che serve per far fare esperienza al gruppo dei partecipanti. La prima cosa che faccio quando inizia una lezione è creare spazi all'interno dell’aula (o –se c’è possibilità- porto i partecipanti al di fuori della stessa) e proporre un’esperienza al gruppo dei partecipanti. Non calo più la teoria dall'alto verso il basso, ma facilito riflessioni in plenaria sull'esperienza svolta, faccio emergere concetti teorici da tutti alla pari e suggerisco teorie presenti in letteratura solo se è opportuno in base al qui ed ora della rielaborazione di gruppo.
Ultimo indispensabile passaggio è proporre una riflessione su quanto ciò che è stato appreso può essere riportato nel proprio contesto professionale. Senza trasferimento on the job il ciclo dell’apprendimento non è completo e la lezione avrà sempre un limite strutturale: così come per la formazione accademica, il livello di soddisfazione sarà solo apparente e il buon gradimento al corso non coincide con la sua vera utilità e la sua ricaduta a lunga termine.
Oggi ho finalmente smesso di pormi domande sull'utilità delle lezioni che propongo, perché al termine delle lezioni i partecipanti ringraziano perché si portano qualcosa a casa o a lavoro, e non perché hanno passato del tempo senza annoiarsi. Ritengo che la formazione esperienziale, se ben gestita, è indubbiamente la modalità migliore per stimolare un cambiamento in poche ore d'aula a disposizione.
La formazione esperienziale, che potremmo definire come quella modalità di apprendimento che si basa sul concetto dell'imparare facendo e dell’imparare attraverso la riflessione sul fare, trova la sua massima espressione nella formazione outdoor, mentre nei corsi di formazione in aula si basa principalmente sull'utilizzo delle small techniques.
Queste ultime sono attività, tecniche o giochi d'aula che permettono ad un gruppo di individui di fare un’esperienza durante la quale si sperimentano situazioni che sono obiettivo di riflessione e formazione: dinamiche di gruppo, conflitti, relazioni, modalità comunicative, ecc.
Per fare un ultimo esempio, in una lezione sulla comunicazione si può chiedere ad un gruppo di persone di spiegare ad un altro gruppo come costruire un oggetto con mattoncini Lego. Le differenze di risultato tra l’oggetto da costruire e quello costruito permetto ai partecipanti -in fase di rielaborazione dell’esperienza- di riflettere su ciò che non è andato bene e concettualizzare modalità comunicative che avrebbero potuto funzionare in modo più efficace. Le loro stesse concettualizzazioni posso essere sperimentate nel proprio contesto professionale e diventare così nuove competenze comunicative.
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