Le esperienze formative in classi virtuali si scontrano con problemi tecnici ed altri imprevisti legati alla qualità della connessione. Al formatore esperienziale non rimane che arrendersi alla FaD classica -proponendo lezioni frontali e diapositive- oppure rilanciare con pensiero creativo, presentando attività che sfruttino i limiti delle classi virtuali. Vediamo un esempio di attività esperienziale per formare (a distanza) alla comunicazione nei gruppi.
Sono ormai più di 2 mesi che l'emergenza covid-19 ha portato scuola e formazione verso modalità a distanza e verso le cosiddette classi virtuali. Molti protagonisti della scuola e della formazione hanno dovuto reinventarsi ed adattarsi in breve tempo alla nuova situazione. Personalmente ho vissuto un iniziale momento di sconforto, consapevole del fatto che la formazione esperienziale, quella di cui io mi occupo, sarebbe stata pesantemente penalizzata dalle modalità a distanza, le quali richiedono modalità formative più accademiche e meno attivistiche. Tuttavia ho affrontato con entusiasmo questa sfida cercando di comprendere quali attività esperienziali potessero essere proposte anche in situazioni virtuali.
In queste settimane ho avuto modo di proporre alcune attività educative e formative a distanza e devo ammettere che l'entusiasmo iniziale sta via via declinando. Le modalità a distanza si scontrano con numerosi problemi prevalentemente di natura tecnica (audio distorto o intermittente, segnale video assente, disconnessioni di alcuni partecipanti, ...), che influenzano negativamente l’andamento delle attività. Ad esempio la scorsa settimana mi è capitato di assistere alla esecuzione dell'attività “Contiamo fino a…”. È un esercizio molto semplice da fare in gruppo: tutti i membri devono contare in successione da 1 a X, ma senza sovrapposizioni (altrimenti si comincia da capo). Questa Small Techniques è molto usata nei corsi di formazione sulla comunicazione, sia come Ice-breaking che come gioco d’aula per far comprendere l'importanza dell'attenzione all'altro e del canale non verbale nella comunicazione dei gruppi. Nelle aule reali -sebbene dopo un po' di tempo- l'esercizio riesce sempre, perché i partecipanti comprendono che per raggiungere l'obiettivo si devono guardare. Inutile dire che online queste attività è fallita, non per incapacità dei partecipanti ma per i succitati problemi tecnici accorsi durante l'esercitazione (non tutti avevano la possibilità di vedere gli altri perché frequentemente la qualità della connessione non offriva tutti i segnali video).
Alcune delle problematiche tecniche dell'apprendimento a distanza vengono risolte ricorrendo a semplici accorgimenti: diminuzione della durata degli interventi, riduzione del numero dei partecipanti, richieste ai partecipanti di chiusura di microfono e videocamera. Mi vengono in mente ad esempio le regole proposte dalla scuola dei miei figli per la didattica a distanza: 4 ore a settimana di lezioni, suddivise in un'ora al giorno (escluso venerdì) e connessioni con microfoni e video spenti (parla solo l'insegnante).
Tali soluzioni portano inevitabilmente verso modalità di apprendimento passive, con tutti gli svantaggi che esse hanno: non sappiamo cosa e quanto rimane effettivamente nella mente dell'allievo dopo l’intervento, né per quanto tempo se ne ricorderà nei giorni seguenti. Inoltre, nel caso poco sopra citato, non sapremo nemmeno mai se l'allievo è rimasto seduto ad ascoltare per tutta la durata della lezione o se nel frattempo si è distratto o se ne è andato a farsi un giro da qualche parte...
Ma, tornando alla formazione esperienziale, è ovvio che queste soluzioni non possono essere (apparentemente) applicate. Quindi non rimane che percorrere altre possibilità.
La prima: arrendersi all'uso delle modalità accademiche dell'apprendimento. Ovvero alla classica FaD, la quale può essere erogata con diapositive e lezioni frontali; l’allievo partecipa passivamente attraverso l'ascolto e la lettura ma ha poche possibilità di interazione. In base ai principi dell'ascolto attivo, questo tipo di apprendimento non permette di costruire significati efficaci né di ricevere un apprendimento completo perché mancano le fasi di concettualizzazione teorica e sperimentazione attiva (v. ciclo di Kolb). D’altro canto, problemi tecnici e altri imprevisti non creano problemi al formatore, che predispone l’intera lezione e relativi materiali prima della fase di fruizione da parte dell’allievo.
Il webinar è una modalità intermedia che abbina comunicazione mono-direzionale da parte del formatore a momenti di interazione dei partecipanti. L'apprendimento principale rimane quello accademico (spiegazioni del docente, visione di filmati, lettura di diapositive, …), ma la possibilità di esprimersi, interagire e di ascoltare attivamente permette ai partecipanti di costruire significati comuni aumentando la qualità della formazione. Non è un caso se la maggior parte delle agenzie formative in questo periodo propongono principalmente questa modalità di formazione a distanza.
La terza via è quella della formazione esperienziale anche nelle classi virtuali. Continuo a credere che sia possibile, a patto però che si prendano delle accortezze adeguate. Oltre a quelle di ridurre il più possibile il numero degli allievi e la durata della lezione, è più che opportuno alternare un solo momento di esperienza ad altri momenti di interazione tra allievi (che vertano soprattutto alla rielaborazione dell’esperienza) e di lezione frontale da parte del docente (che concluda l’intervento riassumendo le nozione teoriche principali emerse in precedenza).
Il nodo principale rimane la scelta dell’esperienza da proporre in aula virtuale. In questi termini diventa di fondamentale importanza la capacità del formatore di scegliere le small techniques più adatte. La conoscenza delle tecniche, la creatività, la flessibilità e la capacità di previsione sono elementi importanti per il formatore al fine di scegliere la proposta formativa più adatta non solo al modulo formativo in questione ma anche alle esclusive caratteristiche della relazione che gli allievi instaurano in una classe virtuale. Avere creatività significa anche ‘sfruttare’ i limiti che certe situazioni impongono. Se nelle classi virtuali abbiamo evidenti limiti legati alla comunicazione (rigido rispetto del turno, possibile mancanza del canale visivo, possibilità di distorsioni audio, …) allora possiamo pensare di utilizzare questi limiti anziché risolverli. Magari proponendo un’esperienza che richieda proprio quelle condizioni che inizialmente vediamo come problemi.
Facciamo un esempio. Se devo proporre una lezione di Comunicazione nei gruppi e non prendo in considerazione le caratteristiche della condizioni in cui opero, rischio di proporre un’esercitazione fallimentare, esattamente come è successo per l’attività educativa alla quale ho assistito (Contiamo fino a…). Ma se prendo in considerazione le criticità che posso incontrare nella formazione virtuale, posso prevenirle optando per un’esperienza che si adatti alle condizioni e, anzi, le sfrutti.
Nel 1951 Levitt arrivò alla teorizzazione delle reti comunicative attraverso un esperimento che coinvolgeva un gruppo di cinque individui fatti sedere attorno a un tavolo e separati da pannelli divisori in legno. Ciascun pannello era provvisto di una fessura attraverso cui le persone potevano scambiarsi dei messaggi e che poteva essere aperta o chiusa dallo sperimentatore allo scopo di consentire o bloccare la comunicazione. Ciò permise di ricreare le quattro reti che si volevano studiare (a stella, a y, a cerchio, a catena). Il compito era molto semplice: a ciascun individuo del gruppo veniva dato un cartoncino sul quale erano raffigurati sei simboli e gli veniva chiesto di scoprire quale di questi era presente anche nei cartoncini di tutti gli altri partecipanti. La comunicazione avveniva attraverso dei foglietti fatti passare attraverso le fessure aperte.
In passato ricreavo in aula un’esercitazione sulla base di questo esperimento per far sperimentare e comprendere la comunicazione nei gruppi ai miei partecipanti, anche grazie alle indicazioni della Borgato in un “Un’arancia per due”; per chi fosse interessato sono a pag. 154 del libro edito da Franco Angeli. Da anni non svolgo più questa attività e non solo perché nella formazione esperienziale esistono tante altre small techniques più efficaci per far sperimentare ai membri di un gruppo la comunicazione (es. Lego Project, il Puzzle di Einstein, ecc.). Il motivo principale per cui non ho più usato questa attività era perché in un’aula reale è molto complicato ricreare le condizioni dell’esperimento: non si hanno a disposizione pannelli da interporre tra membri e il ricorrere al distanziamento delle sedie e ai bigliettini su cui scrivere ricrea solo parzialmente le condizioni sperimentali di Levitt. Agli allievi rimane la possibilità di vedersi, di comunicare con il non-verbale e di disattendere la regola del silenzio (cosa che, ahimè, può capitare quando la motivazione del gruppo diminuisce durante la prova o quando lavori con partecipanti molto giovani, es. in obbligo formativo).
Ma in una classe virtuale ricostruire le condizioni dell’esperimento diventa molto più facile ed efficace, semplicemente sfruttando quelle caratteristiche che sono viste come limiti della formazione virtuale: la chiusura dei microfoni e delle videocamere. Ai cinque volontari che sperimenteranno l’esperienza si chiede di chiudere audio e video e di comunicare esclusivamente attraverso la chat del software di videoconferenza. Il conduttore consegnerà tramite chat privata la propria stringa di simboli e successivamente ogni membro scriverà la propria comunicazione inviandola al docente, il quale la consegnerà al relativo destinatario.
L’esperienza delle reti comunicative fornisce un’ottima opportunità per sperimentare le modalità di comunicazione nei gruppi e permette di far comprendere direttamente quanto i fattori di ‘distanza’ e ‘centralità’ di un gruppo di lavoro influenzino l’efficacia della squadra nella riuscita di un compito, in quanto il tipo di rete influisce sul comportamento e la motivazione al lavoro dei membri del team.
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